DA NOTIZIARIO N. 13 – settembre-dicembre 1982

PROBLEMI DI PSICOTERAPIA di G. Contessa

Come scegliere?

Ormai il numero delle psicoterapie in circolazione è incalcolabile. La difficoltà oggettiva di fare ricerche empiriche sulla loro efficacia (unita alla rarità in genere delle ricerche empiriche in psicologia, almeno in Italia) rende tutte le psicoterapie potenzialmente equivalenti. Le scelte dei giovani che aspirano a diventare psicoterapeuti dipendono da variabili che raramente hanno qualcosa a che vedere con la scientificità. Ogni aspirante psicoterapeuta sceglie di fare un training di quell’indirizzo  che “gli sembra” migliore, non tanto sulla base dell’esperienza (che si solito viene dopo il training) quanto su considerazioni teoriche a priori. Molto spesso invece di una adesione teorica troviamo  una adesione “emotiva” dovuta al fascino del terapeuta didatta.  Altre volte, per mancanza di informazione, il criterio di scelta è quello della casualità: il candidato sceglie l’unico training di cui è a conoscenza  e che gli si offre concretamente. Questi fenomeni non sembrano tanto gravi nei casi degli psicoterapeuti privati, i quali stabiliscono con l’utenza un rapporto privato di mercato: gli utenti paganti possono scegliere un diverso terapeuta, ed il terapeuta può accettare solo i casi più adatti al suo orientamento. La situazione è molto più complessa nel caso della psicoterapia praticata nei servizi territoriali, dove l’utenza non può scegliere. Le scelte degli operatori vincolano per anni quelle degli utenti di un intero territorio. Questo discorso apre una doverosa polemica con la tendenza attuale che, in nome della serietà e della purezza metodologica, orienta gli psicoterapeuti verso training s mono-metodologici.  Non possiamo non vedere con perplessità la diffusione di occasioni formative orientate  verso una sola teoria ed una sola metodologia. Chi ha esperienza di servizi territoriali non può contestare l’affermazione di Jervis: “….. curare, se vuole essere efficace,  deve veramente essere un “prendersi cura” estremamente duttile e variabile  a seconda dei momenti e dei casi, capace di aggredire e modificare da più lati  ed in più modi una situazione complessa. L’usare in modo stereotipato una sola tecnica terapeutica significherebbe qui tagliar fuori  molte possibilità di intervento”. (G.Jervis “Manuale  critico di psichiatria” pag. 160).

Come mai allora 9 occasioni di training su 10 sono basate su un solo orientamento?

Un tentativo di tassonomia

Per facilitare  l’orientamento di chi si appresta ad un training psicoterapeutico occorrerebbe una tassonomia dei diversi orientamenti. E’ un lavoro immenso ancora da fare, e forse reso impossibile dalla miriade dei modelli misti esistenti. Possiamo qui accennare ad una tassonomia  molto generale ed imprecisa ma non priva di qualche utilità, almeno per stimolare un dibattito. Il tentativo si basa sulle due variabili  SPAZIO  e TEMPO, che I.Matte Blanco  (“L’inconscio  come insiemi infiniti”, 1981) indica come centrali nel processo terapeutico. Nella variabile SPAZIO possiamo collocare due coppie che indicano le polarità distintive delle diverse psicoterapie. La prima coppia è quella  INDIVIDUO/GRUPPO. Ci sono psicoterapie centrate suprattutto sull’individuo, ed hanno una o più  delle seguenti caratteristiche: rapporto 1 a 1 fra terapeuta e paziente; disagi dell’utente intesi come individuali, sia nell’eziologia che nella prognosi; vita sociale e relazionale considerata esterna alla psicoterapia. A questa concezione si avvicinano la maggior parte delle psicoterapie ad orientamento psicanalitico (Freud, Jung, Lacan….), molte psicoterapie di tipo corporeo (Schultz, Alexander, Feldenkrasis, Sheelen, Reich e Lowen…), ma anche  molte di ispirazione behaviorista (Skinner …). All’opposto ci sono psicoterapie centrate  specialmente sul gruppo e sulle relazioni interpersonali. In genere hanno queste caratteristiche: setting di gruppo; disagi del paziente intesi come di origine relazione e o sociale; relazioni  considerate essenziali alla terapia. A questa concezione si ispirano alcune psicoterapie di orientamento psicanalitico (Bion, Foulkes, Ezriel, Anzieu …), lo psicodramma (Moreno, Schultenberger….), la Gestalt Therapy  (Perls,,,), i gruppi  d’Incontro  (Roger, Schultz…), l’Analisi Transazionale (Berne, Harris….) e la terapia della Famiglia (Watzlawick, Jackson….). Questa grossolana  divisione non tiene conto delle sfumature  e dei modelli misti, che sono giustamente assai diffusi. Tuttavia credo che spesso i modelli misti  sono più una sintesi empirica del terapeuta, che una categoria basata su precise scoperte scientifiche.

La seconda coppia della  dimensione SPAZIO è quella di CORPO e PAROLA. Le psicoterapie prevalentemente  verbali sono la maggioranza anche se, a partire dagli Anni Sessanta, la rivalutazione del pensiero reichiano e la scoperta delle tradizioni orientali  hanno valorizzato la dimensione corporea. Un’altra corrente che ha sottolineato l’importanza terapeutica delle dimensioni non-verbali  è quella artistica (Art-therapy, Dance-therapy…).

Anche nella variabile TEMPO possiamo individuare due coppie distinte  di diverse categorie. La prima è la coppia CONSCIO/INCONSCIO. Cataloghiamo questa coppia nella categoria del TEMPO, in quanto questo sembra essere il primo differenziatore fra conscio ed inconscio. L’inconscio, pur nelle diverse concezioni e nella intrinseca difficoltà definitoria, è considerato privo della dimensione temporale. Se estendiamo, come sembra corretto, la dimensione dell’inconscio all’affettività, alle emozioni, alla logica simmetrica (v.Matte Blanco) troviamo alcune psicoterapie più centrate su questo polo: le psicoanalisi, lo psicodramma, la Gestalt, i gruppi di Incontro. Le psicoterapie corporee possono considerarsi maggiormente centrate sul polo CONSCIO, anche se la dimensione emozionale ha una grande importanza. Decisamente orientate al versante CONSCIO/RAZIONALE sono le psicoterapie di tipo behavioristico, l’Analisi Transazionale, la Terapia della Famiglia e la Reality-therapy di Glasser. La seconda coppia della variabile TEMPO è quella PRESENTE/PASSATO. Qui la divisione è più facile perché si può dire che solo le psicoterapie psicoanalitiche (e non tutte) privilegiano la dimensione passato, mentre le altre lavorano per lo più nella dimensione del “qui ed ora”. Vale la pena di ripetere che questa embrionale tassonomia non è affatto precisa, ma solo orientativa. Essa esclude i modelli misti e guarda  solo alle caratteristiche prevalenti nelle diverse scuole. Per esempio, va notato che anche nella dimensione psicoanalitica più ortodossa  esiste un’attenzione al presente, con l’importanza data al transfert; così come nello psicodramma grande attenzione è data al passato, rivissuto appunto sulla scena. Infine occorre notare che le psicoterapie citate a mo’ di esempio sono solo alcune di quelle presenti  nel panorama internazionale. Tanto per citare, abbiamo  trascurato: l’orientamento adleriano, la primal therapy, i gruppi Synanon, la psicoterapia organismica, la psicosintesi ed una miriade  di altre. Il tentativo di tassonomia vuole solo essere  uno stimolo al dibattito  ed un aiuto all’orientamento, nella “jungla” del mercato.

EPISTEMOLOGIA PSICOLOGICA

I problemi di tassonomia sopra indicati ne aprono uno più a monte: quello di una epistemologia della psicologia e della psicoterapia. Anche qui le riflessioni sono rare e meriterebbero sforzi assai maggiori. Ho la sensazione che la confusione esistente tra le diverse psicoterapie derivi dal tentativo (ovviamente errato) di mettere a confronto entità diverse. In altre parole il confronto fra le diverse psicoterapie è impossibile  perché ci si ostina a confrontare fra loro  teorie, metodi e tecniche. Questo spiega perché, per esempio, una Schultzenberger può operare secondo un tipo di psicodramma da lei inventato e definito TRIADICO. In questo tipo di psicodramma l’autrice fa uso delle teorie sull’inconscio  e sul transfert di Freud, della metodologia  delle dinamiche di gruppo di Lewine delle tecniche e del setting di Moreno (“Il corpo e il gruppo”, 1978).

Questo ci autorizza a distinguere le teorie che spiegano i fenomeni che in genere riproducono una quantità  di applicazioni differenti. Fra queste potremmo citare l’inconscio e il transfert di Freud,  le dinamiche di gruppo di Lewin, la relazione psiche-soma di W.Reich. I metodi invece sono architetture logiche di fini, processi e mezzi, che si focalizzano più sull’intervento che sulla spiegazione. Certamente un metodo è quello legato alle psicoterapie di gruppo che Foulkes (“La psicoterapia gruppoanalitica”, 1976) definisce “T” che sta per treatment, teaching, training e transference. Infine possiamo distinguere le tecniche, come strumenti polivalenti, applicabili in contesti metodologici e su scenari teorici diversi. Forse è possibile definire soprattutto  tecniche cere psicoterapie come quelle behavioristiche, l’Analisi Transazionale e la Bioenergetica. Operando queste ed altre più sottili distinzioni epistemologiche, forse risulta più facile procedere ad una tassonomia e capire l’origine della diffusione di molte forme miste di psicoterapia.  In realtà, più che miste, certe psicoterapie si basano su un complesso teorico omogeneo, applicato attraverso anche 2 o 3 metodi e con una infinità di tecniche ritenute valide nelle diverse situazioni. La confusione deriva dalla difficoltà di molte correnti psicoterapeutiche ad accettare che da certe teorie non discende un solo metodo o una sola tecnica; oppure che certi metodi e certe tecniche non necessariamente sono compatibili con altre teorie.

In altre parole riteniamo che una ricerca epistemologica in campo psicoterapeutico porterebbe le diverse psicologia e psicoterapie a considerarsi come sistemi aperti, invece che come sistemi chiusi ed onnicomprensivi.