DA NOTIZIARIO N. 21 - giugno 1986

TEORIA E TECNICA PER L’INDUZIONE DELLA CREATIVITA’ di G. Contessa e M. Sberna

Può sembrare paradossale, ma è vero. Solo vent’anni fa i sostenitori della creatività umana nel processo produttivo, erano guardati con sospetto. Oggi, lo scenario produttivo e sociale è sempre più consapevole della necessità di uomini creativi. Non solo per lo sviluppo, ma anche per la stessa sopravvivenza, il complesso sistema produttivo-sociale necessita di “nuovi” modi di pensare e di reagire ai problemi. L’automazione e la terziarizzazione stanno trasformando, in occidente,  assai più in fretta ed in profondità la qualità del lavoro e della vita, di quanto potessero sperare le ideologie più conflittuali degli Anni Sessanta. Di fronte alla sfida di cambiare interi comparti produttivi e la “cultura” di milioni di lavoratori e cittadini, il sistema produttivo ha compreso la necessità  di sviluppare il potenziale di creatività presente (sia pure in latenza) in tutti.

La creatività infatti sembra la capacità indispensabile per affrontare i problemi posti dalla transizione post-indusriale.  Essa infatti non è intesa come fantasia  evasiva né come originalità artistica, ma come “capacità concreta” di risolvere in modo nuovo i problemi.

Sono noti i lavori di famosi autori che hanno identificato la creatività come “pensiero divergente” (Guilford) o come “pensiero laterale” (DeBono); come “sentimento oceanico” (Koestler) o come “processo terziario” (Arieti); come “pensiero produttivo” (Wertheimer) o come “sorpresa efficace” (Bruner). E centinaia sono gli studi e le definizioni di creatività che le scienze umane e sociali hanno elaborato. Non altrettanto numerosi sono i contributi che possono fondare una prassi pedagogica. Purtroppo, il cambiamento epocale che stiamo attraversando ci chiede una pedagogia ed una didattica della creatività, più che una filosofia.  Ed allora occorre approfondire la questione, a partire dal “come” si possa sviluppare e diffondere la creatività, piuttosto che a partire dal “cosa” sia. Tale procedimento può sembrare superficiale, ma è assai diffuso anche nelle scienze cosiddette “dure”.

L’asse emotivo/razionale: ovvero la bi-logica.

 La secolare querelle circa la natura intellettiva o emotiva della creatività può considerarsi superata dal lavoro di I Matte Blanco. Tale autore dimostra in modo definitivo l’inscindibilità degli aspetti razionali dalle emozioni, e degli aspetti emotivi dall’intelligenza. Possiamo dunque affermare che lo sviluppo della creatività richiede una ristrutturazione cognitiva ed emotiva. Se il pensiero creativo è un ampliamento ed una ricomposizione del modo abituale di pensare, esso è anche una “ristrutturazione dei sentimenti”. Il mosaico razionale del soggetto (o dell’organizzazioine) muta assieme al suo caleidoscopio emotivo. In termini pedagogici, questo assunto indica la strada di un doppio intervento, finalizzato a modificare l’asse emotivo/razionale. Sul piano razionale deve trovare una sospensione temporanea l’intero  sistema di pensiero della tradizione occidentale: il principio di non contraddizione, il principio di causa-effetto, l’intera architettura logica. Sul piano emotivo devono trovare contenimento l’ansia, l’incertezza ed il senso di colpa connessi a tutti i cambiamenti; e devono invece essere favoriti l’abbandono, il galleggiamento, la fiducia, la curiosità. E’ intuitiva la difficoltà di agire, in chiave formativa, nel territorio di questa bi-logica. Un’eccessiva facilitazione della mobilitazione emotiva (attraverso forti stimolazioni transferali), a parte la difficoltà ad essere realizzata in contesti formativi ordinari, porterebbe a risultati di dipendenza “mistica”, cioè a un punto di “peak experience” nient’affatto nuovo e creativo.

Un troppo insistito lavoro sui meccanismi cognitivi, cioè sui processi di pensiero, sarebbe accompagnato da una eccessiva “vigilanza” della razionalità  a scapito della mobilitazione emozionale. Mi pare che la via d’uscita sia in una struttura binaria dell’azione pedagogica, capace di operare sul piano della bi-logica necessaria a stimolare la creatività. Una struttura pedagogica (setting, didattica, stile del formatore) che si caratterizzi come ambigua e ambivalente, atta a “riscaldare” e “raffreddare” alternativamente il clima emotivo, ma anche capace di attivare processi razionali “divergenti”.

L’asse individuo/gruppo

Da una parte esiste la tradizione dell’artista, creativo e solitario. Dall’altra è diffusa l’equazione gruppo = conformismo. Tutto ciò è bastato per associare la creatività con la singolarità. In realtà il pensiero creativo può essere inteso come “espansione al plurale”. Esso richiede infatti una estensione spaziale e temporale, una moltiplicazione delle prospettive, una pulsazione ed un rimescolamento della diversità, che sono dimensioni tipiche della pluralità. Una cosa è puntare sulla ricerca del genio isolato, risultante diversa ed originale del tessuto storico e sociale, creativo in quanto eccentrico e marginale, singolare eccezione frutto di un’alchimia casuale. Altra cosa è ricercare la trasformazione di atteggiamenti generalizzati, chiamati a passare da un sistema di pensiero ad un altro, da un ordine logico ad un altro attraversando una foresta di apparente “disordine logico” o di “ordine illogico”. La singolarità artistica non è altro, in fondo, che il distillato di una pluralità di milioni di persone. La creatività diffusa è invece una pluralizzazione dei soggetti. L’individuo o l’organizzazione, per sviluppare la loro creatività, devono rendere plurale la loro “macchina del pensiero”. Sul piano pedagogico è acquisito (da Lewin in poi) che ogni processo di pluralizzazione è facilitato  dal gruppo. Dal momento che lo sviluppo psichico del soggetto è sicuramente un fatto gruppale (famiglia, pari, micro-ambiente, ecc.) la ristrutturazione di questo sviluppo è condizionata ad una esposizione gruppale. Lo sviluppo della capacità creativa individuale è favorito dalle relazioni interpersonali, non tanto a motivo della mutua integrazione, quanto grazie ai processi psico-mentali che la pluralità provoca. Sul piano emotivo il gruppo può offrire motivazione e protezione, fiducia e curiosità, grazie alla sua doppia natura di “ignoto/circoscritto”  o di “contenitore/misterioso”. Il gruppo infatti è una dimensione ignota quindi esplorabile, potenzialmente oggetto di investimento e di curiosità. Ma è anche una dimensione controllabile e controllata, atta a contenere e circoscrivere l’incertezza e la colpa connesse all’ignoto. Dal punto di vista razionale il gruppo è il luogo di confronto/scontro di diversi modelli di pensiero. E’ tale diversità che, appartenendo allo stesso sistema logico, ne evidenzia le dimensioni “altre”. Se tante diversità possono rientrare nella stessa logica di pensiero, allora è legittimo ipotizzare l’esistenza di più logiche, cioè di molte dimensioni nascoste nell’universo del pensiero. L’induzione o lo sviluppo della creatività  non è dunque un processo solitario, né massificato: è un’attività formativa fondata sulla dialettica individuo-gruppo. Dove il gruppo  non è spazio fusionale, né fondale teatrico del soggetto, ma rappresentazione e specchio della sua pluralità, attuale e potenziale.

I fattori “tecnicamente” facilitanti l’induzione alla creatività.

P. Matussek racconta che ad un simposio sulla creatività  svoltosi negli USA gli scienziati diedero più di 400 definizioni del concetto di creatività. Ma è proprio questa mancanza di univocità che mette in luce una caratteristica fondamentale del concetto stesso e della “modalità creativa” di operare: la pluralità. E pluralità “plurale”, cioè a differenti livelli e con possibilità molteplici per ogni situazione. Nessun percorso può essere considerato, in tale ottica, irrinunciabile per ottenere un certo risultato, e dunque nessuna tecnica di stimolazione è essenziale in se stessa.

La motivazione

Il primo elemento determinante è l’esistenza nell’individuo di una motivazione che lo spinge a cercare di migliorare le proprie capacità creative. Non si tratta di una semplice adesione di massima ad un progetto, o di un atteggiamento da “buoni propositi”, perché tali impostazioni di partenza si svuotano di contenuto alla prima difficoltà tanto da trasformarla in un ostacolo insuperabile. Occorre dunque un convincimento profondo  e serio che può essere stimolato  o “predisposto” attraverso  un intervento di tipo psicologico. Due sono gli elementi  su cui far leva: il primo è una specie di “competitività  intrapsichica” usando questo termine per indicare la tensione continua a superare sé stessi, a migliorarsi, a non accontentarsi dei risultati cui si arriva. Questa insoddisfazione non ha però  connotazioni depressive o in qualche maniera autodistruttive, ma si trova nei  successi che precedono il nuovo livello di insoddisfazione lo stimolo è l’energia sufficienti a compiere il nuovo passo.

Il secondo elemento importante è l’allenamento alla sopportazione delle situazioni in cui si verifica una delusione delle aspettative. Chi affronta un training per migliorare la sua creatività è spesso portato a credere che scoprirà cose eccezionali sia rispetto  alle tecniche che verranno utilizzate, sia relativamente alle proprie capacità nascoste. Ma è un po’ come l’uovo di Colombo: le tecniche non sono miracolistiche né da prestigiatore e per vedere dei risultati occorre “del tempo” non quantificabile.

La curiosità e il bagaglio culturale

Un secondo fattore determinante è costituito da un atteggiamento psicologico di curiosità ed interesse per tutto quanto sta intorno. Infatti più è consistente il bagaglio di informazioni possedute sia a livello individuale, sia di gruppo, più è possibile che si produca l’insight creativo. Questa serie di dati immagazzinati nella memoria aumentano nell’individuo in proporzione con l’interesse, l’attenzione, l’atteggiamento psicologico nei confronti della realtà. Ma aumentano anche in rapporto alle connessioni che si riescono a stabilire fra essi e alle tecniche di “allenamento creativo” che si utilizzano nei momenti in cui è necessario risolvere dei problemi.

Quindi non si tratta solo di avere una mente costruita come una sorta di “banca dati”, ma anche di conoscere bene le tecniche di pensiero creativo per poter individuare, nella necessità, le strategie più efficaci. Informazioni, tecniche, capacità personali non possono dunque essere mai considerate in quantità e qualità sufficiente così come un atleta non considera mai definitivo il record appena raggiunto nella sua specialità.

L’emotività

Un terzo fattore determinante è rappresentato dall’aspetto emotivo già menzionato in precedenza. In termini tecnici si tratta di sviluppare un potenziale energetico che risulti  funzionale alla situazione ed ai risultati che si perseguono. Da un lato ciò significa favorire l’emersione dei desideri, degli impulsi, anche dell’immaginazione di ciascuno, intendendo tutto questo come risorsa che è connotata emotivamente. Da un altro punto di vista può significare creare dei “marchingegni” utili a scatenare l’emotività. Uno degli strumenti più efficaci consiste nel simulare in qualche maniera situazioni di competizione o di emergenza. Le prime, nelle quali un individuo o un gruppo sfidano altri individui o gruppi, sono le più facili da realizzare in termini tecnici e anche di immersione dei partecipanti, che in brevissimo tempo si scatenano per prevalere nelle gare predisposte. La situazione “emergenza”  è forse un  po’ più difficile da simulare, ma se è provocata (per es. privando i partecipanti di strumenti necessari alla soluzione del compito che gli è stato assegnato) produce discreti effetti  anche in tempi brevi.

Occorre aver presente in questa situazione che si devono  tenere sotto controllo  le difficoltà oggettive e la complessità del problema, per evitare che la depressione e lo sconforto  producano una demotivazione al lavoro.

La connessione come “meccanismo” di fondo

Ovviamente le variabili che entrano in gioco ed influenzano lo sviluppo della creatività  sono anche altre ed alcune di esse non sono nemmeno influenzabili, nel senso che sfuggono alla possibilità di “intervento formativo”. Però tutte sono idealmente unite da un filo conduttore rappresentato dalla “connessione” che può essere considerato il fulcro intorno al quale si svolge il processo creativo. Connettere, congiungere in modo sempre diverso entità o parti di esse  può diventare un gioco.

Certo è un’attività che, una volta appresa, tende a coinvolgere, a conquistare tanto da essere utilizzata non solo dove e quando è necessario, ma anche in termini “speculativi”. Inoltre  la sua “giocosità” sta nella possibilità di utilizzarla  sia per ricercare la soluzione di un problema complesso, sia per formulare una battuta spiritosa. Queste caratteristiche la rendono particolarmente adatta non solo alle diverse fasi del processo creativo, ma anche consentendo il continuo sviluppo delle potenzialità creative dei soggetti.