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IL LAVORO di GRUPPO M.Sberna - agosto 2008 |
Premessa
Le riflessioni che seguono sono ispirate da un'esperienza di formazione che viene citata nel testo per meglio spiegare quanto è successo. Non vengono quindi esaminate tutte le dinamiche ed i processi tipici di un gruppo operativo, ma alcuni di quelli osservati concretamente, frutto della sensibilità e degli interessi dei partecipanti di un gruppo, i quali sperimentavano in generale per la prima volta la metodologia formativa del T-group e dei suoi derivati. L'occasione
è un laboratorio di sensibilizzazione al lavoro di gruppo (LAB) nel
quale sono coinvolte una trentina di persone, suddivise in tre gruppi.
GRUPPO COUSIN Nove
persone, di cui uno solo è maschio, più il conduttore anchesso
femmina. Situazione difficile, ma tutti i gruppi si trovano alla pari
rispetto a questa variabile e hanno in comune anche altro: leterogeneità
delle professioni dei partecipanti medico, infermieri, assistenti
sociali, educatori, amministrativi, informatici; la provenienza dalla
stessa organizzazione lavorativa; il settore di lavoro con la mansione
di vigilanza e controllo; il territorio di appartenenza geografica;
il livello di conoscenza interpersonale, con alcuni più ricco e profondo,
con altri superficiale fino a limitarsi al solo nome o alla fisionomia
fisica; leterogenea frequenza ad attività formative in senso
classico. I tre gruppi che partecipano al laboratorio sono fra loro
omogenei ed eterogenei al loro interno. Il
principale problema di un tale gruppo in situazioni di apprendimento,
è la limitazione della libertà, elemento essenziale per imparare se
il metodo utilizzato, come in questo caso, si basa sulla partecipazione
diretta ed attiva e sull'esperienza emotiva. La restrizione deriva
principalmente dalla conoscenza - anche superficiale - delle altre
persone: nessuno vuole far vedere agli altri le proprie difficoltà,
gli errori che commette, i comportamenti inadeguati, ecc. Esiste dunque
una sorta di contraddizione di partenza, perché l'apprendimento di
competenze psicologiche pone per definizione "il discente" in situazioni
a rischio di errore che potranno essere superate attraverso l'aiuto
dei membri del gruppo, delle loro osservazioni e dei loro suggerimenti. Un
ulteriore elemento di difficoltà è rappresentato dalla scarsa eterogeneità
nella composizione del gruppo relativamente al genere dei membri.
La condizione ottimale prevede un equilibrio numerico fra uomini e
donne: è la differenza più evidente ed è quella che risulta più facilmente
stimolante delle relazioni piuttosto che "respingente", forse per
com'è la natura umana, per il divertimento insito nel gioco della
seduzione, per la complementarietà dei comportamenti e dei processi
di pensiero. La competizione reciproca, che pure esiste, è produttiva
anziché distruttiva, come accade nei gruppi omogenei per sesso. Spesso
i gruppi femminili - soprattutto in questi ultimi lustri - oltre che
competitivi, conflittuali, distruttivi, sono diventati piuttosto violenti
ed a volte sono caratterizzati da azioni di vera cattiveria. La collaborazione
fra donne è piuttosto rara e superficiale. Quando
la formazione viene realizzata all'interno di un'organizzazione piccola
o media o di un settore di una di grandi dimensioni, quasi sempre
si presentano questi problemi nella costituzione dei gruppi. In tale
situazione, la soluzione ottimale sarebbe quella di offrire occasioni
di formazione all'esterno dell'azienda. Ma questo spesso genera altri
problemi, non ultimo quello economico. O, ancora più importante, impedisce
che si possa "lavorare" per creare équipe di lavoro che possano poi
mantenersi successivamente alla formazione e che siano funzionali
dal punto di vista operativo e soddisfacenti sul piano emotivo. Dunque il gruppo cousin è una dignitosa mediazione che, tenendo conto di tutti i vincoli, può consentire soddisfacenti apprendimenti, purchè da un lato i partecipanti si impegnino a rispettare il "principio di riservatezza" (non parlare extra-aula di ciò che in essa accade o, se si parla, non fare alcun riferimento alle persone) e dall'altro si fidino dei formatori e ne accettino le metodologie. IL SETTING In questi ultimi anni la formazione ha subito sempre nuove limitazioni dovute a "problemi tecnici" (poco di tutto: tempo, soldi, spazi, ecc.) ed anche alla scomparsa del desiderio di apprendere. Così capita che chi decide in merito ai percorsi formativi sia il primo a ritenere alcune modalità inutili, mentre a loro volta i formatori, soprattutto desiderosi di lavorare, colludono con queste posizioni anziché pretendere le condizioni minime per una buona qualità dell'intervento. Il malcostume dilagante, con consulenti strapagati e distribuiti come il prezzemolo anche dove non sono necessari, e la scarsa professionalità di molti che in realtà non sono competenti della specialità per cui si propongono, fanno il resto. Raramente si incontrano dirigenti consapevoli e rispettosi delle aree di azione dei professionisti che coinvolgono. Come in questo caso. La nostra è dunque una situazione fortunata, in cui i compromessi sono stati minimi ed effettivamente dovuti ad oggettivi problemi e difficoltà. Questo comportamento ha sottolineato l'importanza data alla formazione e dunque ha favorito una buona percezione anche nei partecipanti che fin dai colloqui esplorativi hanno visto la proposta come un'occasione importante. Dunque, a cosa si può rinunciare, fra le variabili essenziali per un percorso formativo corretto? Alla
sede esterna rispetto al posto di lavoro. I partecipanti devono trovarsi
in un luogo che favorisca la concentrazione sull'attività formativa
ed insieme non consenta materialmente "fughe" nel proprio ufficio
a svolgere compiti improrogabili su richiesta del proprio superiore
o del proprio Super Ego, ma in realtà per evitare che l'emozione e
le riflessioni tocchino troppo nel profondo e scalfiscano un equilibrio
magari conquistato a caro prezzo. In più una sede fuori dall'azienda
mette tutti i partecipanti alla pari: non c'è nessuno che conosce
il luogo perché quotidianamente ci lavora, né qualcuno che si sente
ospite e si muove con circospezione. Un
altro elemento importante è la costanza della sede, intesa come aula
di lavoro. Proprio per creare familiarità e facilitare il sentimento
di appartenenza, la stanza dove si svolge l'attività formativa dovrebbe
rimanere sempre la stessa. Nei casi di formazione con incontri periodici,
la stanza sarà probabilmente usata anche da altri. E' importante in
ogni caso che vi rimangano i "segni" delle attività svolte, magari
chiusi in un armadio da cui riemergono per la nuova lezione: lavagne
a fogli mobili, pennarelli e cartoncini, nastro adesivo, dispense
e elaborati del gruppo in formazione, ecc. Ma anche attrezzature e
supporti tecnici come l'ormai irrinunciabile "lap top" con annesso
videoproiettore. Per
alcuni seminari, infine, è necessaria la residenzialità, nel senso
che i partecipanti devono rimanere nel luogo di svolgimento dell'attività
per tutta la sua durata, anche per mangiare e dormire. Una organizzazione,
difficilmente è dotata di una struttura in grado di funzionare come
"foresteria" ed insieme di essere abbastanza isolata da consentire
il raccoglimento e la concentrazione utili all'apprendimento. Normalmente
i seminari di sensibilizzazione - per i quali è richiesto un setting
con queste caratteristiche - sono realizzati in strutture alberghiere
più o meno lussuose e lontane dai luoghi di lavoro e di vita dei partecipanti. Una mediazione onorevole richiede:
Tutto questo non impedisce al partecipante di non rispettare le regole, cosa che può accadere anche in un hotel a 1000 km da casa, ad ulteriore garanzia del rispetto delle libertà individuale. DONO & RECIPROCITA Il
processo di socializzazione, facilitato dal LAB, ha introdotto delle
variazioni nella situazione dei partecipanti, ma non sempre in senso
positivo. Per esempio è capitato fra chi aveva una relazione interpersonale
collaudata, di scoprire aspetti dell'altro fino a quel momento ignoti
e che risultavano sorprendenti ed inattesi. Lo stesso rapporto che
si riteneva solido, sicuro, privo di sorprese, in qualche caso è stato
scosso dallosservazione di comportamenti impensati o percepiti
come spiacevoli. La sorpresa derivava dall'aver dato per scontato
che ciò che si conosceva dell'altro fosse esaustivo delle caratteristiche
della persona e non una parte dellintero che di fatto era molto
più ricco e variegato. Questa
sorta di reciproca delusione delle aspettative, originata dai comportamenti
assunti da ciascuno fin dallinizio del LAB, è diventata più
visibile concretamente nelle fasi conclusive del lavoro di gruppo
che richiedevano una presa di decisione. I partecipanti avevano posizioni
fra loro diverse, in alcuni casi radicalmente. La presunzione di alcuni,
che in genere hanno preso posizione per primi, è stata che un gesto
generoso avrebbe facilitato laccordo. Così essi si sono dichiarati
a favore di scelte che erano di mediazione o sostenute in precedenza
da altri con i quali avevano un legame affettivo, rinunciando spontaneamente
al convincimento per il quale avevano lottato fino a quel momento.
Si trattava dunque di un dono, e come tale- di un gesto disinteressato. Le
ragioni possono essere diverse. Innanzi tutto, una scarsa consapevolezza
(finta o effettiva) del significato del proprio gesto. Secondariamente
la motivazione sottostante al gesto, e cioè un tentativo mistificato
di influenzamento del comportamento altrui. Inoltre la fragilità del
rapporto interpersonale che non consentiva una trattativa aperta e
franca con cui magari attraverso un conflitto o una strategia
di negoziazione si sarebbe potuto raggiungere un obiettivo
condiviso. "Episodi" come quelli descritti, si osservano frequentemente nei gruppi, persino in quelli composti da persone fra loro del tutto sconosciute. La società in cui viviamo, le convenzioni tipiche della nostra cultura, la forte spinta all'omologazione, determinano delle aspettative nei confronti dei comportamenti altrui, benché ingiustificate o comunque non suffragate da alcuna motivazione. Spesso si tratta di comportamenti superficiali, adottati per convenienza e non perché corrispondenti a sentimenti e convinzioni effettive. La formazione di gruppo si propone di vitalizzare un livello più ricco e profondo di relazioni interpersonali che, proprio per questo, sono più sincere e genuine. Maggiormente corrispondenti al vero sentire della persona che, aumentando la socializzazione e la consapevolezza di sé, aumenta il grado di autostima e di sicurezza e tende ad esprimere ciò che effettivamente pensa. Purtroppo non sempre l'autenticità va d'accordo con la diplomazia, per lo meno nei contenuti. Inoltre può accadere di accorgersi che, a ben pensarci, ciò di cui pareva non importarci è invece per noi significativo ed a volte irrinunciabile. Ne consegue che le aspettative degli altri rimangono deluse perché il nostro comportamento è differente dalle previsioni o addirittura del tutto contrario a quello adottato in precedenza. Va detto che ognuno ha diritto a cambiare quando, quanto e come vuole e che non sempre è necessario spiegare perché accade o trovare delle giustificazioni. Fa parte dell'apprendimento e ne è una conseguenza diretta. Dunque ci si dovrebbe stupire se chi partecipa ad un'attività formativa resta "fermo" sulle posizioni di partenza. In più attraverso la formazione si possono conoscere le reazioni che si hanno ai nuovi comportamenti ed imparare ad utilizzare le strategie più funzionali ai propri obiettivi. Le differenti situazioni, dunque, vanno affrontate a viso aperto se si ha lintenzione di raggiungere un risultato ben definito? Ma, chissà, forse..... non cè strategia giusta e in grado di garantire risultati attesi. Alcuni comportamenti sono più premianti di altri, ma non esistono "ricette" che producano di norma come effetto ciò che noi vogliamo. Ed è questo lapprendimento importante: le nostre azioni devono essere consapevoli , considerando di esse tutti gli aspetti, le sfaccettature e le reazioni che possono suscitare nei destinatari o anche semplicemente negli "spettatori". Agire significa assumere dei rischi. Apprendere significa individuare, fra quelli possibili, i comportamenti più funzionali ai nostri scopi ed essere in grado di applicarli ai contesti che via via ci si presentano. GERARCHIA & INFLUENZAMENTO I membri di un gruppo hanno posizioni e potere diversi che si evidenziano col passare del tempo ed in relazione agli eventi che ne caratterizzano la vita e levoluzione. La personalità con le sue sfaccettature è il primo elemento che contribuisce a definire, da un lato, ed a consentire lidentificazione dellindividuo, dallaltro. Il passaggio da un insieme di individui sconosciuti fra loro ad un gruppo, è cadenzato da dinamiche che sono costanti nella tipologia, ma che si diversificano proprio in rapporto alle caratteristiche personali dei membri del gruppo. Chi è più spigliato, aperto, coraggioso, di solito affronta la situazione nuova senza lasciarsi frenare o ostacolare dal timore di sbagliare o dalla paura di rimanere coinvolto in qualche cosa di spiacevole, imbarazzante, doloroso. Chi è timido si comporta in modo più guardingo e prudente. Così, un po per volta si evidenziano i ruoli di ciascuno, proporzionati con il rischio assunto e la visibilità conquistata. Tutto
questo avviene più facilmente in assenza di ulteriori informazioni,
che riguardano lextra-gruppo, e cioè la vita personale e quella
professionale. Il
gruppo del LAB si trova in una situazione simile, con unaggravante:
la formazione è interna allorganizzazione. Così il grado di
"distanza" fra un luogo -lambiente di lavoro- e laltro
-il gruppo- è determinato dal contratto iniziale che, all'avvio della
formazione, ha posto alcune regole e convenzioni. Fra esse non è possibile
inserire la cancellazione della realtà. In altre parole non si può
chiedere di considerare tutti i partecipanti uguali: è un impegno
che anche preso non è possibile mantenere. In
un gruppo "cousin", come quello descritto, che sta affrontando un
percorso formativo, la gerarchia è data da elementi "oggettivi", come
titoli di studio e professioni che stabiliscono chi vale di più ed
ha più importanza in relazione anche al prestigio normalmente riconosciuto
dalla società. Per esempio, il medico è più importante dellinfermiere,
ma anche del sociologo, delleducatore e dellassistente
sociale nonostante tutti questi titoli richiedano la frequenza ad
una facoltà universitaria. Tecnici e amministrativi si contendono
gli ultimi posti in graduatoria, soprattutto perché -in uno scenario
globale a carattere immateriale- si occupano di questioni concrete. Dunque nel gruppo esiste una gerarchia che varia a seconda degli eventi e del tipo di argomento trattato. Lo stereotipo che farebbe del medico il capo riconosciuto a cui sottomettersi, si scontra con il potere del programmatore che ragiona con logica lineare e funzionale alla complessità dei problemi da un lato e della macchina-computer dallaltro. Nessun gruppo del LAB "ricostruiva" una piramide gerarchica effettivamente esistente nellazienda e dunque nessuno si sarebbe dovuto aspettare di gestire il suo normale ruolo con lo stesso grado di potere, sia in termini di comando che di sottomissione. Eppure le aspettative, con qualche accentuazione per i partecipanti abituati a "contare", non erano diverse che nella normale vita lavorativa. In pratica ciascuno teneva conto dellesistente e degli stereotipi, senza considerare che, rispetto al compito assegnato al gruppo, tutti erano alla pari e, se mai, dovevano cercare di utilizzare le loro competenze e le loro capacità per eseguirlo. Linfluenza che tutto questo esercitava su ciascuno si evidenziava nella qualità e quantità degli interventi verbali: chi si riteneva posizionato alla base della piramide parlava poco, soprattutto per fare commenti, considerazioni e di rado per fare proposte o per scherarsi a favore o contro qualcosa o qualcuno. Chi stava nei gradini più alti della scala gerarchica, riusciva a presentare la propria idea ma non trovava un seguito. Linfluenzamento funzionava maggiormente in termini restrittivi, attivando la censura reciproca ed un sottile gioco di potere caratterizzato da una competizione strisciante il cui senso era "se non vinco io, non vinci neppure tu!". Va ricordato che il gruppo era praticamente femminile, avendo fra i membri un solo maschio. Data la situazione, questa è certamente una condizione aggravante. Le donne sono in genere più competitive fra loro e anche in questo caso hanno perso di vista il traguardo da raggiungere. Dove si evidenzia questo fenomeno c'è anche un altro filtro per interpretarlo: la questione della leadership. Nei gruppi di formazione, la gerarchia preesistente non è riconosciuta e quindi non ha potere o perché i partecipanti non si conoscono fra loro o per convenzione. Perciò il capo non è "dato" e addirittura non esiste per lo meno in questa definizione. Esistono invece diversi tipi di leaders (o almeno uno), che si evidenziano quando l'aggregazione si trasforma in vero e proprio gruppo ed in risposta ai bisogni dello stesso. Il profilo del capo non comprende le stesse capacità psicologiche del profilo del leader. Addirittura, un capo può non avere le competenze necessarie, ma il ruolo gli conferisce la possibilità di agire in modo congruente. Sono molti gli esempi in questo senso: i sosia utilizzati da alcuni dittatori per evitare rischi alla propria vita, non sono "smascherati" dai cittadini. La scarsa corrispondenza fra chi ha il ruolo di capo nella vita lavorativa e il ruolo di leader nella formazione, genera sorpresa e delusione. Le persone mature e con effettivo desiderio di imparare, fanno di questa scoperta e dell'esperienza conseguente un apprendimento prezioso, da utilizzare anche nell'area professionale. Chi è più incerto ed insicuro, si sente minacciato e di solito in queste situazioni, tende a personalizzare ed a scatenare conflitti che sono più spesso una lotta contro -e dunque sono distruttivi- piuttosto che una lotta "per" - indirizzati su qualche obiettivo da raggiungere effettivamente. A questi ultimi sfugge la via della collaborazione e della cooperazione che può rappresentare una accettabile mediazione fra essere il dominatore del gruppo o il gregario più insignificante. La concentrazione su di sé spesso rende ottusi e ciechi rispetto al susseguirsi degli eventi del gruppo limitando grandemente l'apprendimento. PROFESSIONALE e PERSONALE Anche questo è un binomio molto frequente nelle esperienze di gruppo. Lo si incontra in particolare quando la formazione è fatta sul posto di lavoro o per motivi professionali. Serve di solito in termini difensivi, quando si vuole dimostrare che ci si adatta a contesti diversi, che si è plastici e flessibili; che in un ambiente lavorativo non si può essere completamente sé stessi. Dunque per scusare e giustificare comportamenti che, soprattutto agli altri, paiono inadeguati alla situazione. Un altro motivo è il tentativo di razionalizzare il proprio comportamento, smorzando la pressione di qualcuno che vorrebbe farci agire diversamente e stimolare la nostra apertura. Nel nostro LAB occorre considerare la reazione come coerente perché, quando il gruppo è "cousin", ciò che accade nel percorso formativo avrà ripercussioni nei rapporti interpersonali successivi. Manca in queste situazioni la totale libertà che dovrebbe caratterizzare ogni attività di sensibilizzazione. Mostrarsi come si è effettivamente o "scoprirsi" via via, lasciando emergere punti forti e limiti della propria personalità, può avere conseguenze nella quotidianità lavorativa; può modificare la percezione che gli altri hanno di noi. E se non modifica il comportamento altrui nei nostri confronti, basta che modifichi il nostro, producendo così - come dice K.Lewin - un cambiamento generale. Nella
formazione aziendale, il gruppo fa frequente riferimento al binomio
personale-professionale perché si sente spinto a rapporti più profondi
o almeno più significativi. L'analogia fra personale e professionale
è più frequente in rapporto al tipo di lavoro che ha come utenti persone
in situazioni di debolezza o di difficoltà. Com'è possibile offrire
un servizio di qualità a persone sconosciute, se non si è in grado
di relazionarsi con i colleghi?!? Chi sceglie di fare percorsi di sensibilizzazione per migliorarsi indipendentemente dalla sua professione, in realtà non pensa di avere una doppia personalità, né comportamenti diametralmente opposti in contesti differenti. E pur vero che, secondo la definizione di K.Lewin (KL) il "campo" determina delle forze tipiche di quel particolare contesto/gruppo. Ciò non è in contraddizione con la convinzione dellunicità della persona. Secondo KL, lindividuo ed il gruppo possono essere descritti topologicamente nello stesso modo, con la differenza che le regioni, nellindividuo sono costituite da caratteristiche di personalità e nel gruppo sono rappresentate dalle persone che lo compongono. La dinamica fra le regioni dellindividuo è uguale a quella del gruppo. Levoluzione del singolo è il risultato dellallargarsi/restringersi delle sue regioni/caratteristiche. Nel gruppo lindividuo ritrova attraverso le altre persone, parti di sé che vengono sollecitate più efficacemente proprio perché il contesto fa da acceleratore. Lintenzionalità di un percorso formativo è ulteriormente stimolante. Ma questo processo si verifica in ogni situazione. Dunque il significato dellaffermazione "io quando lavoro sono diversa da quando sono in famiglia" rimanda alluso di caratteristiche di personalità che si ritengono più adeguate al contesto, ma che coesistono accanto a quelle che si censurano in quelloccasione perché si ritengono inadatte. La persona rimane sempre la stessa e può decidere di modificare il suo comportamento usando altre parti di sé in risposta a nuove situazioni, a forti emozioni, ecc. Questo vale "nel bene e nel male" cioè sia per gli aspetti di noi che ci piacciono che per quelli che detestiamo. Così è difficile che la mia apertura e socievolezza, tipiche del mio carattere, spariscano quando sono ad una riunione di lavoro. Magari non darò a tutti del "tu" o non li chiamerò col nome di battesimo; o eviterò di raccontare eventi della mia vita privata. Sarà però difficile nascondere il mio comportamento accogliente nei confronti degli altri, la mia capacità di ascolto, la mia tolleranza, ecc. Perché allora nel gruppo le differenze di comportamento in campo professionale e nella vita privata sono oggetto di discussione? Forse si tratta di unesplorazione finalizzata a verificare laccettazione di modi di fare più familiari. Per convenzione, infatti, nei luoghi di lavoro i rapporti sono formali e rispettosi, escludono laspetto emotivo e qualsiasi forma di intimità che verrebbe percepita come intrusione o addirittura come una forma di pressione e di violenza. Ma, nonostante ciò, sentimenti ed emozioni albergano in ciascuno in rapporto alle relazioni interpersonali ed agli eventi che caratterizzano la quotidianità. Nel caso del nostro LAB, letà dei partecipanti (dai 25 ai 45 anni) e la quantità considerevole di tempo dedicato al lavoro, stimolano a ricercare nellorganizzazione aspetti gratificanti. Occorre però essere prudenti, sia per non essere fraintesi, sia per non spaventare, sia per arrivare ad una sorta di decisione condivisa, che dunque faccia da riferimento nella gestione dei rapporti e che insieme sia difensiva (se abbiamo deciso per una maggiore familiarità, non ti devi offendere se critico un tuo comportamento; non devi sbuffare se ti chiedo un consiglio o se ti chiedo troppo spesso -per te- aiuto in una mansione). Ci potrebbe essere anche unaltra spiegazione al vezzo di continuare a distinguere fra fuori e dentro il lavoro: recuperare, attraverso un esterno immaginario, unimmagine diversa da quella visibile nel contesto professionale. Come a dire: "io quando lavoro mi attengo a certe regole; per questo sono pignola. Mi basta uscire dallufficio per diventare creativa, quasi unartista un po pazza". In entrambi i casi si tratta di una modalità difensiva, che denuncia lincertezza a mettere in opera un comportamento che si considera inadatto. Dunque un certo grado di insicurezza ed unautostima poco solida. Diversamente, infatti, le reazioni al mio comportamento mi diranno se esso è accettato o no; se può costituire un esempio e servire per la crescita e levoluzione di tutto il gruppo; ecc. ESITO DELL'IMPRESA Cosa volevamo ottenere in realtà da questo seminario di avvio di un consistente percorso formativo? L'obiettivo principale era quello di rendere evidente a tutti "lo stato dell'arte" del gruppo in modo che i suoi componenti ne diventassero consapevoli coscientemente. Un'attività formativa che intende sviluppare specifiche capacità psicologiche, e dunque stimolare e produrre un cambiamento, si presenta come una Ricerca-Intervento in cui i formatori sono solo i tecnici che fanno da supporto ad azioni svolte "in proprio" dai partecipanti presi come singoli o come gruppo. Sapere se ci sono problemi, quali sono, in che misura ci coinvolgono o ci vedono come protagonisti, serve come punto di partenza ed è già un considerevole cambiamento rispetto ad una situazione di ignoranza o di indifferenza. Ogni volta mi stupisce constatare come l'analogia sia aderente alla realtà. Fin dall'inizio di un seminario, le regole di comportamento sono esplicite così come le condizioni di lavoro e l'obiettivo concreto che si vuole raggiungere. Parrebbe facile eseguire il compito assegnato. E invece non è così. I partecipanti non riescono a trovare una strategia di successo e quando per un caso fortunato trovano un accordo nel gruppo, non riescono a negoziare efficacemente con gli altri gruppi. Neppure per scommessa o per sfida nei confronti dello staff dei formatori. Ma il seminario raggiunge sempre gli obiettivi formativi che riguardavano l'esplicitazione dei problemi esistenti, quelli che hanno impedito il lavoro operativo. Di solito le difficoltà più importanti in un analogo tipo di attività sono rappresentate da:
Come per l'uovo di Colombo (l'aneddoto riferisce che quando fu chiesto a Cristoforo Colombo di far stare "in piedi" un uovo, lui lo abbia fatto fracassandone il guscio): la procedura pare semplice, addirittura banale e forse persino un po' stupida. Ma la sua efficacia è innegabile. Ma non sarebbe stato così anche per una partita di "Monopoli"? E' vero, ci sono molti elementi di somiglianza. La maggiore differenza fra le due situazioni sta nell'imprevedibilità del "fattore umano" del partecipante che fa da materiale di gioco ,e che, incrociandosi con quello di altre 10/12 persone, produce situazioni in cui l'emozione nasce dal non sapere se gli "scoppi" si devono a bombe o a fuochi d'artificio. |