Il linguaggio della cultura è diverso da quello del commercio
e della politica.
Il commerciante e il politico devono vendere, quindi devono
farsi capire, sedurre, attirare, convincere. Devono parlare con semplicità
alla massa, per farsi capire ed accettare dal maggior numero possibile
di persone. Il loro linguaggio deve essere moralista, seguire le regole
consolidate, accarezzare il buonsenso comune, esprimersi come si esprime
il gruppo sociale cui si rivolge.
Malgrado ciò anche i commercianti e i politici ricorrono spesso
a un linguaggio ostico, iniziatico, criptico. L'anglo-tecno-burocratese
dilaga. Le metafore e gli acronimi sono figure linguistiche ormai
diffusissime sia nella pubblicità che in politica. Il "linguaggio
della gente" però è anonimo, e infatti a nessuno
interessa conoscere l'autore.
Gli operatori culturali (scrittore, saggista, musicista, performer,
pittore, scultore, regista, attore, pensatore, scienziato, ecc.) hanno
il solo compito di esprimersi, nella massima libertà possibile,
anche se ciò significa provocare, spiazzare, innovare, trasgredire,
deludere. Non devono vendere niente, ma solo mostrare. Il linguaggio
della cultura non può essere anonimo, ma ha sempre un autore,
un soggetto che si esprime come individuo o al massimo come piccolo
gruppo.
Spesso avviene che gli operatori culturali neghino se stessi, per
presentarsi come venditori o politici. Il che produce a volte un discreto
successo, ma anche la condanna all'oblìo della storia.
Quando tutto il mondo adorava le icone bizantine, immobili e impersonali,
Giotto si è messo a dipingere persone vere. Quando ancora dominava
la pittura neo-classica figurativa, Van Gogh dipingeva sbilenche macchie
di colore e Picasso presentava corpi e volti scomposti e tridimensionali.
Quando tutta l'europa colta parlava ancora una specie di latino degradato,
Dante si esprimeva con un linguaggio quasi sconosciuto, poi chiamato
lingua italiana.
James Joyce ha scritto l'incomprensibile Ulisse, Carlo Marx e Lacan
sono talmente oscuri che pochissimi li hanno letti.
Mentre la massa si deliziava con le melodie di Gino Latilla e Claudio
Villa, arrivarono un Modugno che urlava di tonnare, Elvis con il rock
e i Beatles con le loro magìe. Ai films delle tende e dei divani
bianchi, hanno risposto i neo-realisti italiani, cambiando la storia
del cinema.
Sicuramente in molti hanno detto a Giotto, Van Gogh, Picasso, Joyce,
Lacan, Elvis o De Sica di essere più "popolari",
di usare un linguaggio più consueto, di seguire l'onda e farsi
accettare dalla massa. Sicuramente qualche esperto del mercato d'arte
ha detto a Picasso di passare al figurativismo. Di certo qualche "spin
doctor" dell'Ottocento ha detto a Marx che non avrebbe fatto
carriera senza senplificare il suo linguaggio.
PSICOPOLIS è un'opera sicuramente definibile come culturale.
E' una comunità virtuale di operatori socili; è la simulazione
di una città; è un archivio di strumenti e una biblioteca
elettronica. E' un'antologia: un'opera multimediale prodotta da diversi
autori e da un curatore identificabile. E' un volume di circa 50.000
pagine, con illustrazioni e fonti allegate.
PSICOPOLIS non vuole vendere niente, pubblicare pubblicità
e raccogliere i dati dei navigatori. E'solo l'espressione di singoli
esseri umani, con nome e cognome.
Alcuni critici denunciano la presenza di troppi links su una pagina.
Li invitiamo a contare i links di una qualsiasi pagina di FaceBook.
PSICOPOLIS non è un libro di testo da imparare riga
per riga. Di fronte alla pagina il navigatore può scegliere
1/2 links oggi e 1/2 links domani. Nessuno si ferma sulla pagina di
un Social per clikkare tutti i links che trova.
Altri critici segnalano la eccessiva lunghezza dei testi: i quali
però raramente superano 1/2 pagine. Il linguaggio di una qualsiasi
opera culturale richiede un ragionamento, un'articolazione, un'apertura
e una conclusione. Certo siamo lontani dai 140 caratteri di Twitter,
dagli slogan pubblictari, dalle parole d'ordine dei partiti o dalle
300 parole del "nuovo cinema italiano", ma PSICOPOLIS
non cerca pubblico, non fa marketing e non si candida alle prossime
elezioni.
Altri critici vorrebbero un linguaggio più semplice, alla mano,
meno tecnico. Sono gli stessi che non battono ciglio di fronte agli
spot pubblicitari in inglese; non si scandalizzano per i titoli fatti
solo di sigle ed acrostici; non obiettano ai discorsi infarciti di
tecno-burocratese.
Infine, qualcuno trova difficile la navigazione come trovava difficile
seguire il filo di Joyce, vedere le figure in Guernica, trovare la
melodia di un concerto jazz. A costoro possiamo solo chiedere di navigare
un un qualsiasi sito istituzionale, per fare un confronto.
Certamente oggi PSICOPOLIS non ha l'importanza di un'opera
di Giotto, di Dante, di Marx o dei Beatles. Oggi. Chi può dire
come sarà valutata fra un secolo?
|