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LA
FORMAZIONE È IMMAGINAZIONE CREATRICE
Lettera aperta ai formatori.
. vecchi e nuovi
La libertà
comincia dove finisce la conoscenza (J.Sauvan)
L'Uomo e la Donna sono animali.
Ne possiedono i bisogni e gli istinti primordiali: appagare la fame, la
sete, la sessualità. Ne possiedono le possibilità di memorizzazione e
di apprendimento. Ma se ne differenziano
per il simbolismo e la concettualizzazione: con le parole - che tengono
a distanza gli oggetti - hanno la possibilità di creazione immaginaria.
La possibilità/capacità di creare l'informazione, di forgiare con essa
il mondo inanimato, insieme all'immaginazione, "fanno" l'Uomo
e la Donna. Col linguaggio inoltre hanno la possibilità di trasmettere
di generazione in generazione l'esperienza acquisita: in tal modo il bambino
oggi beneficia in breve tempo (pochi mesi, qualche anno) di tutta l'esperienza
acquisita fin dall'inizio dell'era umana.
Il linguaggio, però, dà solo un'interpretazione cosciente e logica dei fatti.
Le pulsioni a fondamento dell'apprendimento
culturale appartengono in gran parte al mondo dell'inconscio: le funzioni
primitive e gli automatismi acquisiti seguono e vengono prodotti dalla
logica dell'inconscio. Solo successivamente prendono la forma della razionalità, ammantati
da alibi logici del linguaggio cosciente.
Le scienze umane, nel loro
insieme, si basano sull'inganno del linguaggio che non tiene in debito
conto ciò che guida il discorso: l'inconscio. Nemmeno lo smascheramento
operato da Freud ha convinto l'umanità: per definizione l'inconscio è
inconscio! Come ammettere la sua esistenza dal momento che la coscienza
copre, come per magia, tutti i rapporti umani, con la splendida chiarezza,
con l'ossatura semplice e solida, con la coerenza attraverso le quali
spiega e giustifica il mondo tangibile?
C'è anche un altro fatto che
contraddistingue l'Uomo e la Donna: essi sono (almeno ad oggi) i soli
animali che sanno di dover morire. Ma non ci pensano mai o quasi! Eppure
questo è un peccato perché l'angoscia che questo pensiero dà è forse la
più forte motivazione alla creatività. Creatività come ricerca della comprensione,
del perché e del come del mondo, arma non banale a nostra disposizione
nella scoperta di senso alla vita.
Eppure l'angoscia della morte
è alla base della vittoria dell'homo faber su tutte le altre possibili
forme di umanità comparse nella Storia. L'attività, il fare, il produrre,
il costruire mi sembrano essere oggi le forme più evidenti di esorcismo
del destino ineluttabile che ci spetta di diritto e di fatto. Non è forse
il tentativo di smorzare l'angoscia che, di fronte all'impossibilità di
realizzare un'azione gratificante oppure per sottrarsi a una sofferenza,
ci induce alla fuga o alla lotta?!
Se la forma più moderna (nel senso di attuale stadio evolutivo) è la possibilità di creare informazione e di plasmare il mondo, questa ha costruito un mondo dove l'Uomo e la Donna appaiono essenzialmente come produttori. Non è un caso che i rapporti sociali siano considerati rapporti di produzione: ciascuno di noi è ciò che FA piuttosto che ciò che E'!
Anche se la specie umana ha creato strutture apparentemente gratuite - seppur talvolta riprodotte e introdotte nel circuito delle merci - queste sono state considerate uno scartamento di lato dal binario evolutivo.
La tecnica non la cultura
costituisce e mette in scena il modus vivendi dell'essere umano contemporaneo.
Il linguaggio, mediatore d'obbligo
delle relazioni umane, ha dunque permeato della "logica" il
costruirsi di gerarchie di dominanza, che hanno trovato nella produzione
il loro luogo di espressione. Linguaggio che, misconoscendo il fatto di
essere sostanzialmente fondato nel groviglio dell'inconscio individuale,
"mette al mondo" l'azione (gratificante e narcisistica) come
risposta all'angoscia della morte.
La cultura è altresì un bisogno
innato dell'uomo: tentativo per stabilire un accesso alla sua vera "essenza",
quella dell'arte e del pensiero. La cultura come espressione dell'uomo
nelle sue attività artistiche e letterarie. Attività che stabiliscono
un lontano rapporto con il principio di realtà, che hanno preso le distanze
dall'oggetto, che consentono all'affettività e all'immaginazione di esprimersi
"liberamente". Attività che spesso si sono sottomesse alle regole
della produzione trasformandosi in Scienza o Tecnica.
La cultura esige creatori, non riproduttori nostalgici del passato.
Il creatore deve essere motivato
a creare. Per far questo la motivazione nasce dall'insoddisfazione per
l'ambiente a cui appartiene, dove il creatore è stato allevato. Per creare deve essere avulso e incapace di inserirsi
in una scala gerarchica basta sulla produzione di beni di consumo. Questo
esige una certa facoltà di adattamento: a chi manca questa abilità, disgustato
dalla forma insignificante che ha preso il lavoro oggi, si orienta verso
le attività culturali, artistiche, letterarie, sociali. Anche se queste
attività sono meno remunerate, il
creatore dispone di un vasto territorio in cui agire e di una possibilità
di consolazione narcisistica. La creazione è una vera e propria fuga dalla
realtà sociale, dalla scala gerarchica
. una fuga nell'immaginazione!
Ma il creatore è per forza
legato alla società, al tempo e allo spazio cui vive. La fugge ma ne rimane
più o meno impregnato. Per quanto geniale, appartiene alla sua epoca,
è la sintesi di coloro che lo hanno preceduto, ma anche la reazione alle
abitudini culturali da essi imposte. La sua motivazione non è inserirsi
in un sistema per trarne profitto materiale, ma per trovare la gratificazione
nell'immaginazione e nell'opera che ne viene fuori.
La creazione è anche altro
dal lavoro e dalla produzione. L'uomo definito colto è colui che ha tempo
per diventarlo, colui che sceglie una professione per lasciarsi il tempo
di immaginare ed esprimere. In una società, produttiva e commerciale,
esser colti significa appartenere a quella parte privilegiata della società
che se lo vuole permettere (nel senso letterale del termine!).
Con la consapevolezza che la società postmoderna e post industriale non
intende stabilire gerarchie nè controlli delle differenti forme di espressione
culturale. Essa opera allo scopo di calmare il malessere, di medicare
le piaghe narcisistiche di coloro che non hanno potere, tanto più che
mantenendo una differenza fondamentale tra attività produttiva e attività
culturale, può consentire a quest'ultima di contestare il sistema della
dominanza che si è affermato nella prima.
L'espressione dell'immaginazione viene tendenzialmente piegata a non incidere sull'oggettività della realtà sociale. E se ciò appare all'orizzonte, viene favorita la diffusione di una cultura il cui contenuto semantico non abbia un'incidenza sociale contestatrice del sistema dominante.
E' la cultura autorizzata, asettica e pastorizzata, quella degli chansonniers dell'ideologia dominante, valvola di sicurezza che non può scuotere la solida struttura delle dominazioni gerarchiche.
Il sistema cementato dalla
potenza adesiva dei beni di consumo, accetta ogni idea, anche rivoluzionaria,
purché possa essere venduta. Questo atteggiamento non fa che aumentare
la coesione del sistema ed è la dimostrazione del liberalismo ideologico
della società che lo permette.
La funzione della cultura,
oggi, è così "per uso esterno" come il bottoncino di metallo
che adorna l'occhiello dei membri di alcune corporazioni professionali.
Ma la creatività in cui credo,
esige invece l'ammissione che non vi sono certezze o almeno che esse sono
sempre temporanee, efficaci a un dato istante dell'evoluzione, ma che
si devono continuamente riscoprire, col solo scopo di abbandonarle, appena
si sia potuto dimostrare il loro valore operativo. Questa relatività dei
giudizi porta all'angoscia (di nuovo), ma restituisce a me e alla pratica
sociale la giusta dimensione: quella di un modo imperfetto, temporaneo,
di agire nella società. L'immaginazione e la combinatoria concettuale,
che potrebbe risultarne, rappresenta la chance perché l'evoluzione delle
strutture sociali possa modificarsi, così come
la combinatoria genetica rende possibile l'evoluzione di una specie.
Ma questa evoluzione sociale è il terrore del conservatorismo, perché
è il fenomeno capace di rimettere in discussione i vantaggi acquisiti.
E il creatore è il suo mentore, ma anche la sua vittima sacrificale, in
quanto energia potenziale, né cinetica nè omogeneizzata.
E l'immaginazione non è forse anche il sale del nostro mestiere?
Se esso da una parte rappresenta
una risposta al desiderio individuale e all'anticipazione originale del
risultato (come quello dell'artista con l'opera d'arte), dall'altra, in
quanto creazione di senso collettivo, non può dimenticare di interessarsi
ai meccanismi delle strutture sociali, anche discutendone la validità
fino a rimettere in discussione la loro stessa esistenza. E se sente il
peso della manipolazione lo deve smascherare; se percepisce di diventare
merce lo deve dichiarare; se coglie la mancanza di senso lo deve ri-trovare.
In quanto Uomini e Donne che
hanno nella vita un compito esclusivamente politico di stabilire strutture,
rapporti interindividuali e tra gruppi che permetteranno alla specie in
futuro di vivere e prosperare, anche noi formatori non possiamo essere
"fini a noi stessi". Non possiamo semplicemente "funzionare"
e servire come punto di riferimento per istituzionalizzare i rapporti
sociali, cristallizzandone le possibilità costruttive e immaginifiche.
D'altro canto ben lo sappiamo
- perché lo abbiamo sperimentato a livello personale, e visto a livello
sociale - che l'ordine nasce sono dal disordine. E solo il disordine permette
nuove associazioni, speranze di mutamento ed evoluzione. Questo mi sembra
oggi il nostro compito: perché il significante (lavoro della formazione)
abbia un significato collettivo a fianco di quello personale.
Se Henri Laborit sostiene
che "l'Uomo è un essere di desiderio" e che "oggi sono
rari i privilegiati che riescono a soddisfare i bisogni dando retta al
desiderio", io aggiungo che tra questi ci siamo anche noi!
Alberto Raviola, 9 febbraio 2004